I film di Kore'eda abbracciano il mistero della vita e ci incoraggiano a
pensare al motivo per cui siamo qui e cosa ci rende veramente felici.
Roger Ebert
Dopo la Palma d’Oro al Festival di Cannes 2019 e il grande successo di pubblico di Affari di famiglia (visto nell’ultima rassegna del Circolo Zavattini), il regista giapponese si concede un’incursione nel cinema francese con La vérité e questa incursione nel cinema coreano. Ma con sostanziale coerenza Kore'eda dà continuità alla propria poetica.
Dal punto di vista estetico, senza concessioni ai volti più noti del cinema occidentale (Deneuve, Binoche, Hawke) e di quello sudcoreano: Bae Doo-na (attrice e modella nota a livello internazionale per i ruoli in Mr. Vendetta di Park Chan-wook, The Host di Bong Joon-ho, Cloud Atlas di Lana e Lilly Wachowski), e Song Kang-ho (protagonista in A taxi driver di Hun Chang e del premio Oscar 2019 Parasite di Bong Joon-ho) che per Broker, in Concorso al Festival di Cannes 2022, ha ottenuto il Premio per la Migliore Interpretazione Maschile.
Dal punto di vista narrativo, regalandoci un’ulteriore possibilità di indagine sull’infinita galassia delle costellazioni familiari.
Sì perché Broker inizia come un poliziesco, continua come un road movie, finisce come una commedia gentile.
Ma nella complessità della trama non rinuncia alla semplicità cristallina, ad una essenzialità che non contraddice mai la profondità dello sguardo, la ricerca di quel particolare, di quell’istante che irrompe nel quotidiano per romperne gli equilibri, per cambiare le sensibilità e i modi di guardare la vita.
In realtà, infatti, Broken è solamente, profondamente, empaticamente un’indagine sui sentimenti, sui desideri, sui traumi, sui vuoti e sulle assenze, sulle contraddizioni di personaggi che troveranno possibile soluzione solo nell’ascolto, nell’accoglimento, nel rispecchiamento reciproco. Solo nella possibilità di farsi “comunità”, di intercettare quei possibili legami, spesso inimmaginabili o improbabili, che possano ridisegnare le linee invisibili che tracciano le costellazioni.
Quelli che Kore'eda ci suggerisce nei suoi film sulla decostruzione della famiglia (Nessuno lo sa, Aruitemo aruitemo, Father and son, Little Sister, Ritratto di famiglia con tempesta, Un affare di famiglia, La Vérité) sono sempre sentimenti che se nascono dai legami di sangue hanno la necessità di un elemento catalizzatore, spesso legato alla memoria, al passato o a un evento straordinario e sovvertitore. Ma più spesso sono assolutamente “irregolari”, da ricercare nelle fratture della vita, nella casualità degli eventi, nella quotidianità e al contempo nella capacità di aprirsi a tutto ciò e agli altri.
Anche in Broker (Le buone stelle nel titolo italiano) il confine tra legalità, solidarietà, consanguineità, genitorialità e i loro opposti è molto labile. Ma anche qui essere capaci di superare il limite apre prospettive di vita e di speranza.
Tutto inizia dall’abbandono di un neonato in una “baby box”, “ruote degli esposti”, “culle per la vita” nelle quali negli ultimi anni in Corea del Sud vengono lasciati sempre più bambini insieme a lettere con storie strazianti. Ma So-young, la giovane madre in difficoltà, ci ripensa e si affida ad altre due vite disperate Sang-hyun e Dong-soo, che gestiscono un’attività clandestina di contrabbando di bambini. Inizia così un complicato e sgangherato viaggio di un disparato gruppo improvvisato, che metterà in gioco il concetto stesso di famiglia, alla ricerca dei genitori giusti, dei migliori offerenti, di una soluzione per un bambino, ma che diventerà anche la propria possibile occasione di salvezza, per saldare quel debito o credito nei confronti della genitorialità e dell’abbandono, per perdonarsi ed andare avanti. Per dare vita ad una famiglia allargata, sfidando l’idea dominante nella nostra società, con una possibilità che tale può essere solo superando i legami tradizionali.
Anche qui un elemento catalizzatore - un ragazzino intrufolatosi di nascosto nel furgone aggregandosi al gruppo - apparentemente insignificante sul piano narrativo, costringerà ognuno di loro a confrontarsi con la propria infanzia e a fare i conti con la necessità di diventare adulti.
La profondità dello sguardo di Kore'eda ci porta ad empatizzare con i suoi personaggi senza mai giudicarli. Ne ricerca la dimensione umana anche quando violano la legge, abbandonano il proprio bambino, sono costretti ad applicare leggi a volte ingiuste, ma sono personaggi tutt’altro che disumani, disponibili a una presa di coscienza e a evoluzioni psicologiche e sentimentali verso gli altri.
Kore'eda fa chiedere ai suoi personaggi cosa sia più giusto, ci parla di cicatrici e armature mostrandoci solo il necessario, senza retorica, con quella leggerezza che sa raggiungere attraverso l’ellissi e la sottrazione per fare emergere con naturalezza la forza dei sentimenti.
Infine, ci regala alcune scene iconiche, come quella della preghiera laica della giovane madre, che non serve ad espiare le colpe, ma a lenire ogni dolore: “Grazie per essere venuto al mondo, Sang-hyeon / Grazie per essere venuto al mondo, Dung-Soon / Grazie per essere venuto al mondo, Woo-sung / Ma soprattutto: Grazie per essere venuta al mondo, So-young.”
Lidia Liotta