Tra disagio e quotidianità -
Un interessante sguardo sul mondo della scuola lo ha gettato, pur in piena chiusura scolastica durante la pandemia, l’inosservato, ma meritevole, Marco Polo, un anno tra i banchi di scuola di Duccio Chiarini. Un’operazione di qualità che nella sua originale e compiuta forma esteriore, resta pregevole per le premesse e le conclusioni alle quali giunge. Un film che, scansando luoghi comuni sul mondo scolastico, sa lavorare con intelligenza sul progressivo e interattivo (tra allievi e docenti) crearsi della formazione scolastica.
Quanto al resto, in tema di convivenza scolastica e strutturazione dell’insegnamento, viene in mente, senza andare troppo indietro nel tempo, almeno La classe di Laurent Cantet che aggredisce il tema della convivenza tra l’insegnante e suoi indisciplinati alunni.
L’anno che verrà continua, quindi, nel solco già da altri tracciato, e si inserisce con autorevole piglio nel tema dell’istituzione scolastica. Lo fa con una sua propria personalità, con un taglio e un registro altrettanto originale, avvalendosi di un cast di qualità, nonostante si tratti di giovani attori non professionisti, ma reclutati dall’occhio attento del responsabile del casting. Si tratta di giovani che provengono dallo stesso quartiere dentro il quale si svolge il racconto, sapendo assorbire da quell’ambiente ogni utile suggestione che diventa pietra angolare del film.
Diciamo subito che L’anno che verrà, possibile traduzione del più aderente La vie scolaire, per l’ampiezza ancora più comprensiva che presuppone, sa essere piacevole e perfino divertente, nonostante i temi trattati siano drammatici, a volte tragici e comunque raccontino del costante disagio della gioventù della immediata banlieue parigina come è quella di Saint Denise. È qui che si svolge la storia e dove la troupe ha trovato la disponibilità di una vivace e innovativa dirigente scolastica che ha accolto con favore la richiesta di utilizzo della scuola.
Un film corale che inizia al principio dell’anno scolastico e si chiude con l’inizio delle vacanze estive. Nella scuola è arrivata la nuova e giovane insegnante che coprirà il ruolo di Vicepreside. La scuola ha le classi cosiddette NOP nelle quali, come in una specie di sostegno, si intensificano alcuni insegnamenti al fine del recupero degli allievi più disagiati, anche di quelli che soffrono del divario economico con i loro compagni. Samia la giovane Vicepreside arriva dall’Ardèche e scopriremo che ha anche altre ragioni per lavorare a Saint Denise. Il suo lavoro è quello di fare da tutor ai ragazzi instaurando, ove occorra, un legame con le famiglie. Ma in particolare la giovane Samia tiene d’occhio Yanis.
È proprio Yanis, interpretato dal giovanissimo ed espressivo Liam Pierron, il personaggio attorno al quale la storia, le storie, prendono forma e si consolidano. Yanis è un personaggio dalle molte affinità biografiche con Mehdi Idir, uno dei due registi ed è in questo microcosmo da periferia, a trenta minuti da Parigi con i mezzi pubblici, in un luogo in cui i ragazzi, in maggioranza di origine algerina e maghrebina in generale, vivono le loro giornate tra piccolo spaccio e immaginati progetti sul futuro. È in questa specie di artefatto e credibile realismo, spezzato da un ritmo mai interrotto che L’anno che verrà sa mostrare le sue potenzialità, la sua insospettabile introspezione in quel mondo che appare appena fotografato e che invece percepiamo nella sua integrità. È una specie di manifesta autenticità di ciò che si guarda a dare vita a quella linfa benefica che scorre nelle immagini e cattura l’attenzione anche dello spettatore più scettico. Idir e Grand Corps Malad - dietro il quale si cela Fabien Marsaud che ha acquisito questo pseudonimo a causa di un incidente che ha ridotto la sua mobilità - nella scrittura e nel lavoro sul set hanno saputo coltivare questa originalità quasi esclusiva, anche con la rilettura di tracce autobiografiche, conferendo al film quel taglio lieve pur dentro un’ambientazione in cui si sente il tema del disagio dal quale nascono le microstorie di cui è costellato.
È in questo ambiente che cresce e vive Yanis, turbolento, anche provocatore e maleducato nei confronti del suo (antipatico) professore. Ma è nel privato, soprattutto con il suo amico Fodé, che Yanis sa mostrare il suo vero carattere, il suo rapporto con le cose, la coscienza dei propri limiti, le difficoltà e lo scetticismo per un futuro legato al cinema. Yanis si fa protagonista di uno spaccato commovente nel quale il suo doppio atteggiarsi, tra l’immagine pubblica e quella privata, si evidenzia e l’immagine sa percepire il vero nella vitalità di quella spontanea emozione. Yanis mostra il suo volto e la sua esperienza sa diventare vademecum interpretativo del comportamento giovanile. Un’autocritica che raggiungerà il culmine nel finale del film e tutti questi comportamenti faranno ricordare quelli di Antoine Doinel. Anche Yanis fa il suo diavolo a quattro nella scuola e rischierà l’espulsione, ma il suo angelo custode, l’attenta Samia, e la sua naturale inclinazione ad una verità dalla quale non si può prescindere, veglieranno su di lui.
L’anno che verrà sa essere il film dei fatti quotidiani e nella sua ostentata e vera leggerezza, senza pretese sociologiche o interpretative dei fenomeni sociali, sa farsi portavoce di quel disagio che risiede nell’assenza di prospettive che, purtroppo, riguarda anche il mondo degli adulti. Il racconto di Grand Corps Malad e Idir smette mette di essere, o meglio non è soltanto, un film sul mondo della scuola, pur mantenendone tutte le caratteristiche, per diventare qualcosa di più ampio, un tentativo di guardare ai rapporti familiari di questi ragazzi, in particolare con i genitori in relazione alla scuola, ad esempio. Un rapporto che Samia sa costruire, nel rispetto, ancora una volta, di quell’equilibrio, indispensabile, tra esigenze dell’istituzione scolastica e ambiente sociale e culturale di riferimento. È l’attuazione fruttuosa del suo progetto che vede coinvolte costantemente le famiglie nella gestione degli indisciplinati comportamenti dei ragazzi, delle loro turbolenze che diventano così terreno comune di intervento, tra famiglia e scuola.
In questa insistita quotidianità, è forse proprio la gestione del mondo scolastico a diventare centrale, in quell’ottica di preparazione alla vita che il percorso didattico, interamente considerato, dovrebbe essere. Non a caso, i due registi, come essi stessi dichiarano, hanno scelto di raccontare il periodo scolastico e di vita corrispondente alle scuole medie. Sono quelli gli anni in cui la formazione dei ragazzi è più urgente e per converso, anche più difficile e sottoposta, come avviene sempre, alle numerose e insidiose sollecitazioni. È in questa ottica che il film sembra svolgere il suo ruolo con egregi esiti, in quel veritiero rapporto umano che soprattutto Samia e il professore Messaoud (Soufiane Guerrab), sanno instaurare con i ragazzi e nel loro, mai trascurato, né affievolito, tentativo di patteggiare e contemperare le esigenze della scuola con l’istintivo rifiuto dell’attenzione per insegnamenti che i ragazzi reputano distanti dalle loro reali esigenze che sono soprattutto economiche. Comprendere a fondo questa frattura è arrivare alla radice del malessere, non sarà forse utile a guarirlo, ma aiuterà ad aprire una prospettiva di sguardo differente in questi giovani così marginali rispetto all’impero, ma così vicini ai suoi nocivi effetti.
È su queste riflessioni che ci si accorge, al di là della sua piacevole visione, di quanto L’anno che verrà centri il tema di questi difficili rapporti, di come sappia tenere in straordinario equilibrio tutti questi profili, insistendo con leggerezza sul tema dell’interazione con l’articolato mondo dei ragazzi ai fini di un migliore funzionamento del sistema scolastico, soprattutto nelle aree più difficili, come le tante Saint Denise dei nostri luoghi.
È un comune sentire di cui L’anno che verrà, insieme al citato Marco Polo, un anno tra i banchi di scuola, sanno farsi cinematografica ed efficace manifestazione che forse Ministri, Dirigenti, Responsabili a vario titolo, allievi e genitori, dovrebbero vedere per ricostruire, su queste prospettive, il tessuto connettivo di un sistema di istruzione che sia adeguato ai tempi e alle esigenze per tutti gli attori e i protagonisti dell’ampio scenario.
di Tonino De Pace (sentieriselvaggi.it – 7 ottobre 2020)