Visti davanti, visti da dietro -
Le traiettorie dei corpi in fuga nei film dei Dardenne ci hanno costretto a seguirli, pedinarli, visti da dietro, così vicini da ascoltarne l’affanno di chi è finito in trappola e costretto a fuggire da quello stato di indigenza in cui è relegato, per riappropriarsi di una condizione sociale che ne riscatti la condizione e lo riposizioni nel mondo.

La pensano ancora così i due fratelli cineasti?
Quell’Etica che attraverso il loro sguardo ci ha scaraventato nella nuda vita dei loro memorabili protagonisti e ai loro dilemmi, non basta a ricostruire quell’apertura che, successiva ad una resistenza tutta umana ( da Rosetta in poi), ci restituisce alla speranza dopo averci messo duramente alle corde?
Il cinema che guarda ai diritti come sola strada da perseguire, quello a cui ammicca Tori e Lokita, può sembrare allora un nuovo approccio dei Dardenne ad un cinema engagé, che merita rispetto senza dubbio, ma sembra limitare buona parte del loro precedente percorso cinematografico.
Lokita, è una giovane sans-papier in attesa di regolarizzare la “fratellanza” con l’adolescente Tori al quale è invece unita profondamente solo dalla fuga dallo stesso Paese.
Sono visioni frontali, queste, di un mondo clandestino e di colore che si affaccia come nuovo soggetto richiedente asilo e diritti nelle aule di giustizia insensibili alla sofferenza espressa nei volti dei due ragazzi.
L’inizio ricorda “Matrimonio di convenienza” col grande Depadieu in attesa della cittadinanza francese che “cade” sul nome della crema per il viso più volte concordato con l’aspirante compagna.
Il mondo visto davanti è proprio questo: l’esatta parola da pronunciare, scandita senza incertezze o varianti, al cospetto di una commissione giudicatrice, quel mondo del Diritto che non è esattamente il mondo dei diritti, ma delle regole e dei codicilli sui quali pontificano politici e uomini di legge.
A questo mondo non sembrava rivolgersi la coppia Dardenne, almeno sino a Tori e Lokita: era quello invece il mondo visto da dietro, in fuga e senza parole, capace però nelle espressioni più alte di aspirare alla sola vocazione profonda e umana, che non passa da un interrogatorio ma dalla spontanea assunzione di responsabilità (Il “c’est moi” del protagonista del film L’enfant) capace di dare forma e senso ad ogni azione.
L’Etica sembra ora, invece, cedere il passo alla legge che, per definizione, è generale ed astratta, non incarnata nei singoli ma nelle comunità di appartenenza : questa “distanza” la avvertiamo nel senso di colpa di Lokita, che perde persino i sensi se sospesa che tra la dura contingenza nella quale è relegata, e il suo spirito libero e sincero che ritroviamo in ogni parola con Tori .
E’ questo il messaggio apertamente politico, sul quale virano i due cineasti? Un cinema che si faccia carico di ogni ingiustizia e restituisca dignità attraverso l’auspicabile riconoscimento della carta dei diritti umani, di cui ognuno dovrebbe di fatto essere portatore?
I Dardenne sulla scia di Ken Loach?
Eppure anche in Lokita, nonostante le angherie alle quali è sottomessa sia dai criminali bianchi che dai “papponi” neri che l’hanno portata in Europa, ritroviamo quella forza a (r)esistere che era dei precedenti personaggi dei Dardenne e dei quali sentiamo ancora bisogno.Ma lo scenario questa volta sembra cambiato, forse perché frutto di un destino perverso e indifferente che la Storia odierna ha fatto suo .
Tra il mondo della vittima e quella del carnefice vi è un abisso difficile da colmare dallo sguardo dei Dardenne che si ritrae di fronte all’orrore di Lokita, colpita alle spalle, in fuga dopo aver messo in salvo l’unico suo motivo di vita: il piccolo Tori.
La fratellanza fortemente indagata dai giudici all’inizio, si rivela in-fine tutta in questo gesto etico che completa la vita della sans-papier Lokita e non certamente nel legame di sangue richiesto tra i due.
Fine della speranza, allora, nei nuovi Dardenne? Sembra di si.
L’unica luce che rimane accesa è quella riflessa dal telefonino di Lokita nel buio dove è stata segregata, e dove solo Tori potrà raggiungerla.
Rolando Iaria