Domenica, 24 Febbraio 2019 11:34

Il corriere - The mule

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C’è un “Colpevole” che risuona nell’aula dove Earl Stone viene giudicato dalla Corte americana per i suoi crimini contro la legge. Solo Clint Eastwood può scandire con chiarezza e senza indugi quella parola che restituisce dignità e spessore al protagonista, ma anche ad una Nazione intera che come lui sembra smarrita. Earl Stone è vittima di una fragilità che l’anziano attore americano sa restituire con gentile e ruvida coscienza, il suo Paese è in preda ad un più profondo disorientamento dove i nuovi potenti si impadroniscono della ragione abbattendo i valori e calpestando ogni dignità.

Il corriere – the mule (2018), nasce da una storia vera e ancora una volta Eastwood, con il suo carico di esperienze, si misura con un tempo che non comprende e a suo modo confida nella solidità della Nazione, sempre con la sua storia, ridisegnandone i confini. Sembra che il suo cinema, passo dopo passo, ancora a quell’età, sia fatto per interrogarsi, sia fatto per seminare incertezze e scoprire le debolezze umane, gli errori, ma sempre nel cocciuto perseverare nella debolezza dell’errore, segno di una inattesa fragilità, di una manifestazione di quella fatale umanità che ha saputo disseminare nel suo lavoro d’autore.

La lezione di Eastwood continua ad affascinarci e il suo cinema, così classico e intimamente legato a quella stessa storia alla quale egli stesso appartiene e che lo ha fatto grande, si fa forte in questo ultimo film. Eastwood ci porta a spasso con il suo pick up lungo le direttrici di un territorio immenso, magari sconosciuto, le sue traiettorie sembrano ridisegnare la mappa/le mappe di una terra senza più confini, che diventa così piccola e controllabile grazie ad una sempre più invasiva tecnologia. Non è il crimine che Earl compie ad interessare Eastwood, ma la sua capacità di essere riconoscibile come uomo libero, anche come padre mancato, simbolicamente fallito, anche economicamente oltre che come oggetto e soggetto d’amore familiare. Il confronto con il poliziotto, al mattino davanti al caffè, senza sapere che l’uno è in cerca dell’altro, in una sorta di rielaborazione di quell’agognato mondo perfetto, ci riconduce ad una semplicità straordinaria, ad una piccola lezione d’umanità, alla riconciliazione tra desiderio estremo di umanità e vita virtuale che la sostituisce. Un’esistenza sbandata quella di Earl che sembra doversi ricomporre definitivamente nell’estrema unzione finale quando tutto sembra irrimediabilmente irreparabile, ma Earl non nega a se stesso e alla moglie il tentativo disperato di recuperare in poche ore gli errori di una vita intera. Eastwood sa gestire il racconto e aiutato da una formidabile e impagabile Dianne West sembra riordinare, con pochi tocchi, il disordine sentimentale e ogni egoismo del suo personaggio, operazione salvifica ed estrema.

La sua espiazione sarà la prigione che gli spetta da colpevole, non del narcotraffico, ma dalla sua fuga da ogni responsabilità verso la sua famiglia e là, in prigione, tornerà a coltivare i fiori con gli altri detenuti restituendo finalmente ad una collettività quel bene ricevuto e mai ricambiato con adeguata misura. È per questo che Earl è “Colpevole” e quel risuonare della parola sembra rimbalzare dall’aula giudiziaria e colpire l’intero territorio degli Stati Uniti, ogni angolo di quella mappa che il suo vecchio o il suo nuovo pick up carico di cocaina, ridisegna all’insegna di una libertà che costa cara e che nessuna galera potrà redimere o ridurre ad una davvero colpevole sottomissione senza dignità.

(La versione più estesa sul n. 70 di DIARI DI CINECLUB, scaricabile gratuitamente su http://www.cineclubroma.it/diari-di-cineclub-roma/diari-di-cineclub.html)

 

Letto 2027 volte Ultima modifica il Domenica, 20 Ottobre 2019 22:25

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