“Il semplice fatto di lasciare

il comodo salotto e la televisione

per andare a vedere un film in sala

era, ai loro occhi,  un atto di resistenza.”

Tonino Benacquista, Malavita

Dove eravamo rimasti?

Dove eravamo rimasti? A volte le domande aprono i vuoti e scoprono mancanze, omissioni, la domanda rende manifesto il vuoto del tempo, l’assenza.

amandaLa usò un noto conduttore televisivo al ritorno in TV dopo un incubo durato molti anni, la prendiamo a prestito come spunto di pensiero per provare a dare senso a quel vuoto che la domanda apre.

Se oggi a tre anni di distanza dall’ultima occasione di incontro - l’ultima proiezione della rassegna annuale risale al 4 dicembre 2019 e il film era They di Anahita Ghazvinizadeh - ci ritroviamo qui di nuovo, a rinnovare un rito forse consumato dal tempo. Ma come le cose un poco consumate che ci piace rinnovare, dobbiamo anche domandarci come siamo cambiati dopo questi tre anni turbolenti e inattesi nelle loro dinamiche, che hanno spinto ciascuno di noi ad interrompere relazioni, ad un isolamento innaturale, ma al quale, come sempre, ci siamo anche abituati. In questi tre anni abbiamo visto trasformarsi i rapporti e la partecipazione. Ogni aspetto della nostra vita sociale è mutato, diventando un più o meno valido surrogato, molto si è ridotto a bene di consumo casalingo. Non solo, dunque, ridotta socialità ma sempre più ambiente casalingo dentro il quale consumare la partecipazione che come animali sociali ci distingue. Da qui la difficile comunicazione riversata spesso sui non comunicativi social.

Ne ha fatto le spese il consumo di cultura, piattaforme e TV a pagamento hanno sostituito la fila al botteghino dei cinema, si sono incrementate forme di teatro a domicilio, e anche i riti conviviali sono diventati esclusivamente domestici e familiari.

È stato forse il cinema maggiormente penalizzato dalle chiusure dovute alla pandemia. Le sale sono state le prime a chiudere e le ultime aanno riaprire, inferendo un colpo decisivo a quei gestori che vivevano già in un difficile equilibrio. Per chi frequenta le sale ancora oggi, tranne che in rarissimi e selezionati casi, gli effetti si vedono. La falcidia delle sale chiuse come effetto diretto o indiretto della pandemia ha colpito, come è noto, anche la nostra città. Ma anche altre hanno sofferto la chiusura di sale storiche, una per tutte il “Capranichetta” di Roma nella centralissima e istituzionale Piazza Monte Citorio.

E quindi: dove eravamo rimasti? Ora che questi vuoti hanno segnato i nostri tre anni, la domanda serve a comprendere cosa abbiamo perso e cosa di nuovo possiamo fare per riprendere da quei passi un cammino mai semplice da ricominciare. Sarebbe frutto di una analisi superficiale presumere di doverlo riprendere con le stesse caratteristiche e le stesse modalità di tre anni fa. A nulla sarebbe servito l’insegnamento di questi tre anni di radicali mutamenti, il tempo oltre che vuoto di tutte le nostre presenze, sarebbe stato anche inutile, superfluo e così invece non è stato, poiché si è riempito comunque di alcune cose e ci ha mostrato improvvisamente un possibile futuro, che pensavamo di dovere leggere solo nei libri e che invece è diventata la nostra vita quotidiana.

neviaÈ per questo che dobbiamo ricominciare quasi dimenticando ciò che è stato. Non possiamo ignorare che in questi tre anni i nostri ambienti si sono ridotti, circoscritti. Non possiamo dimenticare la disabitudine al cinema indotta anche dal consumare del nostro cinema attraverso il più comodo e magnetico mezzo televisivo, divenuto giocoforza non più succedaneo della sala, ma sostitutivo, con una modulazione della visione del film secondo le nostre volontà, dei nostri tempi e non in funzione del tempo del film. È in questa nuova abitudine che il cinema, come lo abbiamo conosciuto a partire da quella sera del 28 dicembre 1895, rischia di diventare altro e oggetto diverso. Il compito è dunque recuperare il piacere della visione, riappropriarsi dell’astrazione dal mondo che solo la sala consente e che ci rende, al tempo stesso, spettatori e partecipi, immersi nel flusso dell’immagine che ci sovrasta e ci accoglie occupando completamente il nostro campo visivo e le nostre capacità percettive.

Sono questi i mutamenti che ci hanno spinto alla cautela nel proporre una rassegna ridotta solo a cinque titoli e non al solito doppio numero di film o addirittura a quel ricco triplo numero di alcuni anni fa.

Tra i mutamenti anche quello della sala, poiché, lo sappiamo, le sale che negli ultimi anni hanno ospitato le nostre rassegne, consentendoci una proiezione professionale in alta definizione, hanno chiuso e solo il tempo ci dirà se si tratta di un “per sempre” o solo per il tempo di “tirare il fiato”. Con “La Nuova Pergola” siamo tornati alle origini, a quel 1995 quando, dopo tre anni di proiezioni al “Dopolavoro”, all’epoca “Ciack Academy”, siamo passati proprio in quella sala che aveva appena riaperto i battenti dopo un lunghissimo letargo.

Forse qualcosa che è venuto fuori in questi tre anni - a volte percepiti come lunghissimi, a volte come trascorsi in un baleno quasi a farcibroker confondere il tempo - è il desiderio di costruire sulle macerie o su quello che è stato il nostro tempo vuoto.

In realtà anche questi anni sono stati ricchi di relazioni, progetti, rassegne e visioni. In realtà, se pure a passo ridotto, il Circolo non ha mai interrotto la sua vita sociale e la sua ricerca culturale. Varie sono state le iniziative che hanno anche trasformato in meglio la progettualità del Circolo, che senza dimenticare il percorso fin qui fatto, apre a nuovi orizzonti in una città sempre più complicata e nella quale le relazioni culturali sembrano sempre più rare e manca sempre di più un’idea complessiva sulla cultura come indice identitario di una comunità. L’ultima occasione perduta e passata nell’indifferenza è stata quella dei cinquant’anni del ritrovamento dei Bronzi di Riace.

Ricominciare, dunque, con queste consapevolezze, tra precarietà e progetti, una miscela che comunque produce nuova energia che diventa utile dopo un evento così drammatico.

I film che abbiamo scelto hanno come comune denominatore un generalizzato senso di protezione, di conservazione e disponibilità verso l’altro per costruire le reti delle relazioni interrotte. Il “dove eravamo rimasti?”, parte dunque da quel vuoto che apre la domanda per approdare al bisogno di collettività, di società, di solidarietà.

Cinque film che riaprono le porte alla vita a quel complicato gioco di rimandi che fa parte delle nostre esistenze, a quel fiorire di progetti che ciascuno di noi conserva e immagina. Cinque film dall’andamento compatto, che si dirigono tutti verso quell’unica direzione secondo le varie declinazioni. E ci siamo accorti che in questo ricominciare non potevano mancare i bambini, gli adolescenti, tutti necessari di protezione e tutti portatori di speranze.

toriAmanda - Quel giorno d’estate di Machail Hers svela la possibilità di una ricostruzione dopo il disastro e svela un cinema che ha innata una leggerezza anche quando racconta le tragedie. Nevia di Nunzia De Stefano è un’incursione tra la favola e la cronaca nei luoghi conosciuti del nostro sud, in quella costante paura dalla quale i bambini devono essere sottratti. Il nuovo impegno civile dei nostri autori italiani passa per l’immaginario anche infantile in quella fragilità che va preservata. Sui fratelli Dardenne, non c’è molto da aggiungere. Il loro Tori e Lokita lavora sull’infanzia del margine, sull’amicizia che salva e protegge dalla sventura. Al tempo stesso un atto d’accusa e una storia di amicizia alle soglie dell’adolescenza. Così come sono adolescenti i protagonisti di L’anno che verrà o se si preferisce, nell’originale La vie scolaire di Grand Corps Malad e Mehdi Idir. Un film fatto di ambienti e sentimenti, ai margini di una metropoli, dentro le storie di una comunità sfilacciata e dentro i desideri del suo giovane narratore. Un racconto di storie private che compongono il mosaico dei disagi, anche qui, con un tocco di vera leggerezza, senza pretese sociologiche o interpretative dei fenomeni sociali. Si chiude con Kore’eda Hirakazu e il suo Broker - Le buone stelle. Chi ricorda Affari di famiglia, incluso nell’ultima rassegna del 2019, o qualsiasi altro suo film, sa benissimo che il regista giapponese con il suo cinema sa spalancarci le porte delle nuove forme delle relazioni, sa immaginare insospettabili galassie familiari maturate dentro sentimenti che serpeggiano e si consolidano. Ancora una volta Kore’eda lavora sull’idea di protezione con il suo racconto lineare dentro le coordinate di un afflato naturale, che diventa un ambiente nel quale crescono davvero nuove prospettive che possono segnare i legami familiari. Non più legami di sangue, ma nuovi e resistenti legami che si generano sull’irrinunciabile rispetto dei sentimenti.

Fin qui il presente del nostro Circolo Zavattini, mentre si prepara anche il futuro, con qualche ambizioso progetto e qualche idea per continuare possibilmente ad offrire occasioni ad una città che vediamo impoverita, che percepiamo affranta. Ma questa, come si dice, è un’altra storia che però finisce con il coincidere, drammaticamente, con la stessa domanda: Dove eravamo rimasti?

Tonino De Pace

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