Nonostante tutti questi anni di frequentazione di sale, rassegne, festival, occasioni varie di incontro, continuiamo a chiederci cosa sia il cinema, che in fondo altro non è, per dirlo in parole povere, che uno spettacolo che si rinnova. Ma cosa altro sia, se spettacolo soltanto o anche intervento sul presente ancora, nonostante tutto, non è chiaro. Forse tutto dipende da come ciascuno lo vive, se come rifugio dalla quotidianità o come parte della stessa quotidianità, diventando tema del presente anche il cinema del passato, del remoto passato, fino a quello delle origini e se è possibile ancora più indietro.

rassegna2024Crediamo che per chi ormai ci conosce, dopo 32 anni di attività, il nostro modo di intendere il cinema è quello rivolto ad una interpretazione del presente, tema non disgiunto dallo spettacolo che costituisce la forza originaria del cinema e la fascinazione speciale del racconto per immagini.

E allora forse poche volte come in questi anni, in quest’epoca di transizione il cinema diventa dispositivo necessario per estrarre dalla storia che stiamo vivendo - quella che chiamiamo cronaca e che diventa incalzante e che non ci dà respiro, che ci dà angoscia con le sue notizie sempre negative - il senso o il non senso dei nostri tempi. Tempi nei quali si sta transitando, tra mille fatiche e paure, guerre di confine, tragici esodi, intelligenza artificiale sostitutiva ormai alle porte, povertà in crescita e spaventose sopraffazioni, che l’orrore che si prova non è neppure sufficiente a manifestare il dolore davanti alla morte di innocenti.

Abbiamo per questo anche il cinema che ci aiuta a decriptare il presente fatto di disuguaglianze e diseguali segnali, segno di un progresso che si inceppa, a volte di un repentino ritorno ad un passato che vorremmo leggere solo sopra i libri di storia. Si proprio quel cinema che interviene con la sua carica di immaginazione, di realtà trasfigurata o di ineludibile immanenza. Quel cinema che immagina e ci fa immaginare un mondo diverso o manifesta, impietosamente, il nostro che ci è occluso o non vogliamo vedere.

È in questa prospettiva che quest’anno, per questa trentunesima edizione il titolo della rassegna Il presente diseguale è quasi venuto spontaneo, immediato, come una semplice didascalia sotto una fotografia.

Proviamo a raccontare in breve i temi della rassegna. Altrove, in questo stesso catalogo, abbiamo provato ad approfondirli avvalendoci anche e soprattutto delle esperienze e conoscenze di amici del nostro Circolo, nella dichiarata intenzione di radicare in varie direzioni le nostre relazioni, facendo diventare anche questo luogo, questa occasione, agorà di confronto di idee in un territorio dove questi spazi sono sempre più limitati se non inesistenti o quasi. Tema questo che avrebbe bisogno di una riflessione attenta e meditata per comprenderne le ragioni e gli effetti.

Ma in quella resistenza che ci distingue insistiamo nella volontà di diventare centro di un dibattito, con la provocazione di un cinema che rompe la stasi della quotidianità diventando inciampo e interruzione del consueto. Prendiamoli così questi e gli altri film, il cinema in generale per farlo diventare cinema vivente che interviene di soprassalto nelle nostre vite.

Sperimentiamo in questa nuova rassegna la scomposizione di un breve ciclo, due soli film - purtroppo i costi elevati ci obbligano ad un numero ridotto di film con un generale ripensamento della sua struttura così come finora l’abbiamo conosciuta - ma pensiamo che sia la loro qualità a segnare il ricordo, piuttosto che la quantità.

Il titolo del ciclo è esplicito Ecologia delle relazioni e si vuole provare a scrutare quanto l’atteggiarsi delle relazioni diventi forma di una più generale predisposizione alla possibile felicità, ad un possibile benessere dello spirito. Un anno difficile di Olivier Nakache e Eric Toledano, gli autori del pluricelebrato Quasi amici, in una commedia romantica e brillante esplorano il mondo della transizione ecologica, dello scontro tra culture che diventa incontro di solitudini, frammento amoroso sul presente non classificabile, tra desideri indotti e necessità di una concezione più spartana della vita che non sia di necessità, ma scelta convinta e determinata. Il secondo film del ciclo, ma l’ultimo della rassegna, è Il male non esiste di Hamaguchi Ryūsuke. Un racconto che indaga sulle dinamiche di una piccola comunità dove vigono le regole della natura che non possono essere infrante. Il film diventa il terreno della dialettica del presente tra invasività del progresso, soddisfazione di desideri indotti e violenza silenziosa contro l’altra dialettica quella imposta dalle leggi della natura il cui costo è altissimo. Un film che sconcerta per la sua potenza evocativa in una logica discorsiva che assomiglia ad una meditazione zen.

Le immagini scritte è il titolo del secondo ciclo, un doppio appuntamento che pone al centro del focus, anche di quello del Catalogo, il tema ampio del rapporto tra il cinema e i libri. I due film sono due esempi di come si possa indurre alla lettura, per fare scoprire il fascino delle molte vite che si possono vivere attraverso la lettura, come diceva Umberto Eco. È proprio il geniale filosofo e scrittore, studioso e immaginatore di mondi, scomparso qualche anno fa, ad essere protagonista del primo dei due film che proponiamo. La biblioteca del mondo è lo sguardo che Davide Ferrario ha gettato sulla labirintica biblioteca dello studioso piemontese dove una parte del suo appartamento, con vista sul Castello Sforzesco a Milano, era completamente dedicata ai libri che facevano parte della sua vita. Un film anche privato in quella violazione consenziente per raccontarsi agli altri. Tra provocazioni e divertimenti intellettuali, un film che sa acquisire l’immaginario dalle pagine di quei libri per riscriverlo e raccontarlo con le immagini.

Riteniamo che Aleksej German jr sia tra i cineasti più importanti tra quelli oggi in attività. Il suo è stato ed è sempre un cinema solido, ricco di una narrazione introspettiva, rispettoso della grande tradizione cinematografica russa, ma con lampi di geniale invenzione visiva. Sergej Dovlatov è stato uno scrittore russo emarginato dal regime comunista, tradotto ance in Italia, che purtroppo ebbe vita breve. Il Dovlatov - I libri invisibili di German non solo ci consente di scoprire uno scrittore di grande efficacia narrativa, ma ci porta dentro la sua vita un po' bohemien e della sua amicizia con il poeta premio Nobel Joseph Brodsky, anch’egli prematuramente scomparso. Un film che ha una forte personalità e un grande impatto visivo otre che narrativo, con una messa in scena originale che sottolinea da solo il lavoro di montaggio in una visione quasi orizzontale della storia contro la verticalità alla quale siamo abituati.

Il terzo ciclo dal titolo Diversamente figli, diversamente genitori nasce da quella necessità di gettare uno sguardo sul vasto tema della genitorialità, tra nuove pratiche di procreazione e le inevitabili polemiche sui profili etici di queste soluzioni, ma più largamente i tre film che abbiamo scelto lavorano sui sentimenti di identità e di affezione familiare. Indagini che si aprono con Amira di Mohamed Diab che nasce dalla stessa complessità dalla quale nasce il conflitto politico tra Palestina e Israele e questo film per nulla assolutorio per nessuna delle due parti, anzi problematico nella sua riflessione identitaria, se si vuole estremizza i temi di una divisione antica personalizzandoli nella figura della giovane protagonista, ma anche la possibilità di un doppio riconoscersi dentro i segni di due culture affini che reciprocamente si rifiutano.

DNA - Le radici dell’amore di Maïwenn è un racconto a tutto tondo sulla composizione asimmetrica di una famiglia, sulla superfetazione delle sue tradizioni e sulla impossibile riconduzione unitaria delle sue tradizioni. Una famiglia algerina a più voci in cui la tradizione, che diventa anche tradizione alla quale ispirarsi, viene diversamente interpretata.

Il ciclo si chiuderà con I figli deli altri di Rebecca Zlotowski che è un film passato ingiustamente in sordina, ma che oltre a confermare l’ottimo livello della cinematografia francese di questi anni, in grado di interpretare, anche sotto il profilo del rapporto sentimentale, la diversità dei nostri tempi con alcuni film - su tutti Saint’Omer di Alice Diop ma anche con L’accusa di Yvan Attal e trasversalmente qualcun altro - ha indagato con originalità sul ruolo dei genitori con particolare attenzione alla figura materna. I figli degli altri va di diritto iscritto in questo novero proponendoci un personaggio disponibile e aperto, capace di sopportare anche il dolore di un abbandono e con un sincero desiderio di diventare madre.

Una rassegna necessariamente più breve rispetto al solito. Ma anche questo è un segno dei tempi perché i tempi ci dicono che i costi sono aumentati a dismisura e divenuti insostenibili per una associazione come la nostra che, ci rendiamo sempre più conto, resta nel suo assetto economico un reperto del passato, pur intervenendo con costanza e dedizione esclusivamente sul presente. Le sette serate che trascorreremo insieme sono il punto di equilibrio per la sempre rincorsa autosostenibilità, quel punto cioè in cui la spesa prevista è compatibile con la previsione dell’incasso. Si tratta dunque di spazi, anche fisici, che si restringono, di occasioni di socializzazione che vengono sottratti in una città piuttosto immobile da questo punto di vista, lontana da ogni richiamo che sia legato alla cultura che non sia evento straordinario, ma solo quella quotidiana e pervasiva frequentazione di diffusione paziente di idee e di informazione. Dopo tutti questi anni - 32 quest’anno - siamo un po’ stanchi in realtà di lamentele, che restano inascoltate e irrisolte, segno di un totale, assoluto e colpevole silenzio da parte della politica rispetto alla necessità di vivacità culturale in città, buona a condire nella variante del green washing i discorsi e gli interventi, ma sfumando via i concetti, come le parole che restano solo tali e destinate a lasciare il nulla, come bolle di sapone eteree e colorate, ma senza peso e senza alcuna consistenza.

Tonino De Pace

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