Patricio Guzman parte dall’infinitesimamente piccolo, come la goccia d’acqua imprigionata in un cristallo di quarzo, fino ad arrivare all’immensità sconfinata dell’universo, luogo da cui (secondo alcune teorie) proviene il prezioso elemento. E’ una voce fuori campo ad accompagnare lo spettatore nel viaggio sull’origine della vita, dove l’acqua è la fonte primaria dell’esistenza, la memoria fluida che conserva i volti, i corpi e le parole di coloro che sono scomparsi, come la civiltà dei Selknam, gli indios della Patagonia sterminati dai conquistadores bianchi, il cui ricordo sopravvive nei racconti dei pochi discendenti superstiti, gli ultimi rappresentanti di quella cultura primigenia oramai estinta.
Dopo “Nostalgia della luce”, il regista prosegue il suo viaggio documentaristico ed emozionale nella terra natia, raccontando, attraverso immagini spettacolari, il continuo intrecciarsi di storia e natura, di popoli e paesaggi che insieme hanno dato origine alla millenaria identità cilena.
Per Guzman, nella “memoria dell’acqua” sono conservate le gesta dei popoli nativi, vogatori nomadi ed osservatori del cosmo, che all’acqua avevano consacrato la vita, riuscendo a percorrere a bordo di minuscole imbarcazioni le coste sconfinate del vasto arcipelago cileno, ma anche il grido di dolore dei desaparecidos, uomini e donne uccisi e fatti sparire durante il sanguinario regime di Augusto Pinochet.
Attraverso il crepitio della pioggia sulle rocce e le spettacolari riprese aeree dell’estuario occidentale cileno, il regista ripercorre l’antichissimo cammino dell’acqua: “E’ un viaggio che va mille anni nel futuro e poi mille anni indietro, nel passato” - dice Guzman - mettendo in correlazione le infinite vedute spaziali, con il piccolo bottone rimasto attaccato ad una trave di ferro usata per far affondare, nelle acque dell'oceano, i corpi degli oppositori di Pinochet.
E’ una memoria negata, soffocata, come la voce dei dissidenti al regime, dal pugno duro della dittatura, la cui crudeltà il regista conosce in prima persona. Ed il cerchio del limpido e poetico racconto di Guzman si chiude con la storia leggendaria di Jemmy Button, indigeno sradicato dalla Terra del fuoco e deportato in Europa nel 1830. I conquistadores trasformarono Jemmy in un uomo civilizzato, spazzando via la sua storia e la sua identità, che comprarono, per dileggio, al misero prezzo di un bottone di madreperla.
Lavinia Romeo