Dal titolo certamente non ermetico, il secondo lungometraggio di Alexandre Koberidze è una fusione di generi, stili e forme, che accompagna delicatamente lo spettatore per quasi due ore, con coerenza ed equilibrio, confermando che il suo è un cinema che affonda nell’esistente (nel “Dasein” - nell’Esserci - per dirla alla Heidegger), che si affida all’“accadere” per puro principio vitale, e tale fiducia negli eventi si disvela anche in questa trama.
La studentessa in medicina nonché commessa di farmacia “Lisa” (interpretata dalla attrice non professionista Oliko Barbakadze) si scontra per strada con un ragazzo di nome Giorgi, che fa il calciatore (interpretato dal campione di braccio di ferro Giorgi Ambroladze), facendo cadere il suo libro, che lui raccoglie. In seguito, sempre nella medesima giornata, i due si rincontrano e decidono di uscire insieme la sera successiva. Tuttavia, accade che i due ragazzi cadano vittima di un “malocchio”, circostanza che ci viene descritta dalla voce narrante. Stando alla maledizione, il giorno successivo i due ragazzi si sveglieranno con un aspetto completamente diverso, senza più le loro qualità, quindi, non saranno mai più in grado di ritrovarsi. Infatti, Lisa (che adesso è mutata ed è interpretata dalla giovane Ani Karseladze) e Giorgi (anch’egli mutato e interpretato dal talentuoso Giorgi Bochorishvili) si svegliano come persone diverse. Entrambi sono scioccati, ma non hanno molto tempo per disperare della nuova e assurda situazione, perché la vita li pone repentinamente a fare i conti con le loro mutate fattezze. Inizia Lisa che, non potendo più lavorare in farmacia, trova lavoro come cameriera in un bar di proprietà di un simpatico vecchietto (l’attore Vakhtang Panchulidze). Successivamente, è Giorgi che, non riuscendo più a calciare adeguatamente un pallone per guadagnarsi da vivere, viene “accidentalmente” assunto dallo stesso uomo proprietario del bar di Lisa, tuttavia, adibito ad un’altra mansione. A questo punto, per quanto si possa essere tentati già a vedere questa fiaba finire felicemente, inizia invece un altro filone della storia, ove i protagonisti sono una troupe cinematografica, un regista, un direttore della fotografia e un fotografo, impegnati in un film in 16 mm, per il quale cercano coppie prese dalla vita reale da intervistare. Ma sia Lisa, che Giorgi, a questo punto della storia, non hanno avuto il ben che minimo contatto. Nella favola, successivamente, giunge il momento dei mondiali di calcio e tutta la Georgia li guarderà, incluso Giorgi, tifosissimo dell’Argentina e alcuni di cani randagi. Questa ultima circostanza rappresenta uno dei tanti meta-tocchi del film, in cui la voce narrante descrive quale cane farà il tifo e per quale squadra, tanto da ingenerare l’impressione di un documentario contestualizzato nella storia. Ma proprio alla fine dei mondiali, ed alla fine delle riprese del film, i due innamorati che si erano persi, anche se il destino li ha fatti lavorare uno ad un passo dall’altra per quasi tutto il tempo, si ritrovano grazie alla “verità” del Cinema.
L’opera denota un approccio registico che attinge elementi dai film muti, dal cinema degli anni ‘70 in senso lato, dal documentario osservativo e si potrebbe continuare ancora per molto nella elencazione tentando di descrivere tutte le contaminazioni presenti nella medesima.
Tuttavia, nonostante la ricchezza di ingredienti poetici e metaforici, il prodotto finale di Koberidze risulta essere un film caldo, coerente e romantico, quasi un elogio alla mitezza ed alla normalità.
Nel lungometraggio è presente anche un altro protagonista, che pare anch’esso essere mutuato dall’altro concetto caro alla filosofia heideggeriana: il tempo. Per quanto qualche elemento possa fare ricollegare la storia ad una epoca precisa, le informazioni fornite nel film non sono decisive nel risolvere i dubbi che via via sorgono nello spettatore, fra tutte quella che si evince dal nome della città in cui è girato il film, Kutaisi, effettivamente capitale della Georgia, ma di circa 900 anni fa, circostanza che concorre a farci oscillare tra realtà e fantasia.
Il risultato, in definitiva, è quello di un piccolo gioiello, cui hanno contribuito sia il lavoro di macchina da presa del DoP iraniano Faraz Fesharaki (un mix di digitale e 16 mm), sia il montaggio amorevole, giocoso e sicuro di Koberidze, cui va aggiunta la colonna sonora, elaborata e dai molti spunti originali, realizzata dal fratello del regista Giorgi Koberidze, tanto da ritenerla in tutto e per tutto una protagonista dell’opera.
Domenico Labboccetta
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